Antonio Gottarelli
Padānu. Un'ombra tra le mani del tempo
La decifrazione funzionale del fegato etrusco di Piacenza
2018
Collana Archeologia del Rito, vol. 3
Edizioni Te.m.p.l.a. 2018
formato 16,5 x 24 cm; ril. filo refe, copertina cartonata, sovracopertina
288 pp., b/n
ISBN 978-88-6113-010-4
€ 50,00
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Il Sole, la Luna, le costellazioni, le 16 stazioni annuali di un calendario liturgico rituale e le 6 porte che scandiscono il ritmo di levata dei corpi celesti sull’arco solstiziale: sono dunque questi gli elementi chiave per comprendere la complesso trama di iscrizioni presenti sul fegato etrusco di Piacenza? Nel precedente volume eravamo giunti alla conclusione che il piccolo bronzo poteva essere un modello simbolico e stilizzato dello stesso Fegato di Tiāmat, “con funzione strumentale per il calcolo delle fasi cicliche del tempo”. Sciolto così ogni legame con la pratica epatoscopica, ci eravamo chiesti cosa sarebbe accaduto all’intero castello di congetture sulle 16 regioni del nastro periferico se, in altri contesti, si fosse arrivati a dimostrare che l’immagine ideale del Templum celeste presentasse una diversa figura e un diverso sistema d’orientazione rispetto a quanto tradizionalmente ipotizzato. La risposta era più che ovvia: l’intero castello sarebbe crollato e l’interpretazione del fegato di Piacenza avrebbe dovuto essere interamente reimpostata su nuove basi. E sono proprio queste basi il punto di arrivo del lungo percorso di ricerca che nel precedente volume ci ha permesso di collegare la geometria del Templum solare del luogo ai significati di una delle più custodite dottrine misteriche dell’antichità: quella dei grandi “segreti del Cielo e del Sottosuolo” che furono impressi sul fegato dell’antica madre Tiāmat, all’atto della rifondazione cosmogonica. E saranno proprio i meccanismi astronomici del Templum solare del luogo, così come li abbiamo ritrovati descritti nel “Libro dell’Astronomia” di Enoc, che ci forniranno ora la chiave interpretativa da cui ripartire per giungere alla sua completa decifrazione.Si sveleranno così le funzioni di uno dei più straordinari strumenti rituali dell’antichità per il computo della dimensione liturgica dello scorrere del tempo, primo oggetto palmare, analogico digitale, mai rinvenuto, in grado di fissarne i ritmi e le geometrie. Ma quello a cui ci porterà la sua decifrazione è molto più di questo, perchè il suo contenuto simbolico e strumentale aprirà nuove e straordinarie future prospettive di ricerca sui fondamenti concettuali della stessa “Etrusca disciplina” e sui processi che porteranno l’Etruria tirrenica al suo estremo confine padano settentrionale. La linea del 45° parallelo che è solcata dal grande fiume del nord Italia che attraversa quella pianura e che accolse le spoglie di Fetonte, coincide con l’antico asse di equilibrio che fu dell’ordine cosmico delle origini e corrisponde a quell’“equatore gnomonico” che trova un preciso riscontro nelle funzioni strumentali del modello. Sul fegato, tale riscontro è rappresentato da un segno inciso che è sempre presente sui più antichi modelli epatoscopici del Vicino Oriente, e la cui traduzione nel termine accadico padānu mostra una straordinaria familiarità con i nomi che in seguito verranno attribuiti a quella stessa pianura e al grande fiume che la attraversa.